Tecnica di coltivazione delle orchidee

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Tecniche di coltivazione

tratto da www.orchidofili-italia.com

 

Bagnatura orchidee: quando e come

Le orchidee sono piante molto speciali, e non solo grazie alle loro fioriture stupende. Necessitano anche di attenzioni più particolari al confronto con altre piante che si trovano all’interno delle nostre case. La bagnatura corretta è una cosa vitale per la salute e il benessere delle nostre orchidee, e in questo articolo parleremo come effettuarla nel modo giusto.

La prima cosa che dobbiamo capire è quando è arrivato il momento giusto per bagnare la pianta. Per identificarlo bisogna valutare le condizioni del substrato e delle radici. La maggior parte delle orchidee si bagnano quando il substrato si è asciugato bene ma non è ancora completamente asciutto. Lo si può sentire con un dito e vedere tramite le pareti trasparenti del vaso. Anche il colore delle radici può esserci d’aiuto: quando sono asciutte diventano più chiare di come sono da umide (come potete vedere nelle foto).

Ricordiamo che le frequenze delle bagnature dipendono dalle stagioni e dalle temperature. Se fa caldo, l’orchidea si asciuga più velocemente, e in alcune settimane estive il momento della bagnatura può già arrivare 3 giorni dopo la bagnatura precedente, mentre in inverno alle volte una settimana basta appena al substrato di asciugarsi. Anche il substrato fa la differenza: il bark, ad esempio, si asciuga più velocemente dello sfagno, e quindi può darsi che due orchidee coltivate in due substrati diversi dovranno essere bagnate in momenti differenti.

Quando il momento è arrivato, prepariamo l’acqua per la bagnatura. I fortunati residenti delle zone montuose, dove l’acqua che arriva dalla montagna è acida, possono tranquillamente bagnare le loro orchidee in bagno, sotto la doccia calda, utilizzando l’acqua di 35-40°C. Le piante annaffiate in questo modo saranno più robuste e cresceranno meglio. Tutti gli altri (me compresa) che non possono vantarsi di avere l’acqua delle sorgenti naturali, dovranno arrangiarsi con l’acqua piovana, osmotica oppure semplicemente quella delle bottiglie. La cosa principale è che l’acqua non contieni il calcare che rimane sulle radici e le foglie delle orchidee danneggiando la loro respirazione. Per accelerare l’assorbimento dell’acqua dalle radici, la portiamo a 35-40°C, e poi la mettiamo in un contenitore, dove immergiamo il vaso con la pianta nel modo che l’acqua lo copra tutto. Lasciamo lì la pianta per circa 10-15 minuti, dopodiché la togliamo, facciamo scolare bene l’acqua e rimettiamo l’orchidea al suo posto.

Occorre ricordare che questa procedura deve essere effettuata nella prima parte della giornata: così l’orchidea usufruisce dell’umidità e si asciuga un po’ prima della sera. Se invece la lasciamo fradicia d’acqua per la notte, rischia di sviluppare il marciume.

Se la vostra orchidea è coltivata a radice nuda, deve essere bagnata in modo diverso, utilizzando uno spruzzino. Si spruzza generosamente 1-3 volte al giorno (dipende dalla stagione e temperature), ma prima della sera. Se le dimensioni della pianta e della sua base d’appoggio lo permettono, nel periodo estivo le orchidee a radice nuda gradiscono anche le immersioni 1 volta alla settimana in un contenitore con l’acqua di 35-45 °C, dove sono lasciate navigare per 10-15 minuti. Le immersioni però non devono sostituire le spruzzature quotidiane ma servono come un extra per accontentare le nostre piante.

Tante specie di orchidee nel periodo invernale hanno un certo periodo di riposo. Durante questo periodo, insieme all’abbassamento di temperature, nel loro habitat naturale si riducono drasticamente anche le piogge, e le piante rallentano o fermano la loro crescita, mettendosi in una specie di ibernazione, senza la quale poi non potrebbero fiorire. Quindi è indispensabile replicare il periodo di riposo anche in coltivazione.  La frequenza delle bagnature in questo periodo è diversa da specie a specie, e di solito viene descritta nelle informazioni che riguardano ogni specie. Su questo blog troverete le informazioni dettagliate sulla presenza o l’assenza del periodo di riposo per le specie descritte, comprese le indicazioni sulle frequenze delle bagnature.

 

Concimare un’orchidea

La vegetazione di tutte le orchidee (come anche quella di altre piante) dipende da: acqua, luce e sostanze nutritive, tra cui le più importanti sono azoto, fosforo e potassio. Essendo coltivate in vaso o a radice nuda in uno spazio limitato, le orchidee ne risentono la mancanza, e quindi il nostro compito è quello di somministrare queste sostanze alle nostre piante, permettendole di svilupparsi al massimo e rimanere forti e vigorose.

La prima cosa da imparare è di cosa sono responsabili l’azoto, il potassio e il fosforo:

– l’azoto (N) è indispensabile per la sintesi delle proteine e della clorofilla, e quindi è necessario per lo sviluppo e la crescita delle foglie, dei pseudobulbi e delle radici. La mancanza dell’azoto si manifesta nello sviluppo di foglie deboli e fiacche, e nel disseccamento veloce delle foglie mature;

– il fosforo (P) regola i processi della divisione delle cellule, nonché la formazione degli steli floreali, fiori e semi. Se c’è insufficienza di fosforo, le orchidee non fioriscono, la loro crescita si rallenta molto e le piante si indeboliscono;

– il potassio (K) è un elemento funzionale, regola il metabolismo, l’intensità della fotosintesi, la sintesi delle proteine, e tanto altro. Avendo la mancanza del potassio, le piante si indeboliscono e perdono la loro immunità contro gli organismi infestanti.

Ci sono anche tanti altri elementi indispensabili per la crescita armoniosa delle orchidee: magnesio (Mg), ferro (Fe), rame (Cu), molibdeno (Mo), manganese (Mn), zinco (Zn), calcio (Ca), zolfo (S), boro (B), ecc., e per questo motivo, scegliendo un concime, dobbiamo verificare la loro presenza assieme all’azoto, al fosforo e al potassio.

Adesso parliamo dei tipi di concimi. Si utilizzano SOLO i concimi appositi per orchidee, poiché gli altri generi contengono una concentrazione troppo alta dei microelementi in questione. I concimi per le orchidee sono principalmente disponibili in due forme: in polvere (da diluire e somministrare) e in liquido. Consiglio strettamente quelli liquidi, perché con la polvere c’è sempre un rischio di non diluirla abbastanza bene, il ché porterà alle bruciature delle radici. Scegliendo il concime in un garden center, facciamo attenzione del valore N-P-K (azoto – fosforo – potassio), che fa vedere quante parti di questi elementi sono presenti nel concime. Se il concime contiene più azoto (ad esempio, il valore N-P-K è di 30:10:10), questo concime favorisce la crescita delle foglie. Se invece contiene più fosforo (N-P-K è di 10:30:20), stimola lo sviluppo degli steli floreali e i fiori. Io preferisco utilizzare la formula bilanciata, con l’N-P-K nelle proporzioni uguali (20:20:20), perché non mi piace intervenire nei processi naturali delle mie piante e spingerle a sviluppare più foglie o più fiori. Lascio la scelta a loro.

 

Ora il concime è scelto, e dobbiamo capire quando è il momento giusto per concimare le nostre orchidee. Teniamo presente il fatto che le orchidee si concimano solo durante il periodo della crescita. Non si concimano mai durante periodo di riposo (per le specie che ce l’hanno): le concimazioni si riprendono poi man mano con il risveglio delle piante e con l’inizio della nuova vegetazione. Le specie che non hanno il periodo di riposo si concimano durante tutto l’anno. Per evitare l’eccesso dei microelementi nel substrato, le concimazioni avvengono ogni 3-4 bagnature, e io consiglio di utilizzare 1/2 – 1/4 della dose indicata sul flacone del concime (come sempre, per evitare che il concime bruci le punte sensibili delle radici giovani).

Adesso parliamo di come somministrare il concime all’orchidea. Ci sono due metodi per farlo: per via radicale e per via fogliare. Quello per via radicale è preferibile, perché le radici riescono ad assorbire molti più elementi al confronto con le foglie. Prima della concimazione dobbiamo bagnare la nostra orchidea, perché le radici già bagnate assorbono meglio, e non si bruciano le punte. Dopo la bagnatura, prendiamo un contenitore più profondo del vaso in cui è collocata l’orchidea, mettiamo l’acqua tiepida (circa 30°C) e il concime liquido (1/2 – 1/5 della dose indicata sul flacone a seconda della specie) e li mescoliamo bene. Poi immergiamo il vaso con l’orchidea in modo che l’acqua copra appena il bordo del vaso, e lo lasciamo lì per circa 10-15 minuti, dopodiché lo togliamo, facciamo scolare bene l’acqua e lo rimettiamo nella sua posizione. Fatto. 🙂

Ogni tanto (diciamo, ogni 30 giorni) possiamo anche aggiungere 3-4 gocce del concime a 200 ml dell’acqua delle spruzzature e spruzzare le nostre orchidee. In questo modo loro possono assorbire un po’ anche dalle foglie. Se la pianta ha problemi seri con le radici (è in ricovero dopo il marciume radicale), la concimazione per via fogliare diventa quella principale, e quindi deve avvenire ogni 5-7 giorni. In questo caso la concentrazione del concime è di 1-2 ml per 1 litro dell’acqua.

Se l’orchidea è collocata a radice nuda, la concimiamo aggiungendo il concime all’acqua delle spruzzature 1 volta alla settimana. Io utilizzo 1/8 – 1/10 della dose indicata sul flacone del concime, e dalle condizioni delle mie piante mi sembra che sia sufficiente. In ogni caso, ricordiamo che è sempre meglio concimare di meno che rischiare di far bruciare le radici delle nostre piante.

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Trapianto orchidea

Abbiamo appena ricevuto il pacco con le nuove orchidee, e la prima cosa che dovrebbe fare un collezionista é travasare tutte le piante. Le orchidee che si trovano davanti a noi sicuramente avranno vissuto tutta la loro vita dentro i loro vasi attuali. Quindi il substrato, essendo ormai vecchio,  non contiene più le sostanze nutritive e potrebbe addirittura essere nocivo alle radici della pianta a causa del contenuto alto del calcare accumulato per anni. In questo post descrivo un tipico trapianto che ho fatto alla Hawkinsara Chien Ya Ocean “TM” appena arrivata. 🙂

1° passo: prepariamo la posizione per il lavoro. Per effettuare il trapianto avremo bisogno di un vaso nuovo (é una buona pratica cambiare anche il vaso), il substrato fresco (io sto per usare lo sfagno puro a fibra lunga) e le forbici.

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2° passo: togliamo accuratamente l’orchidea dal vaso assieme al substrato vecchio. Alle volte le radici sono talmente fitte che bisogna tagliare il vaso con le forbici per liberarla. Io però sono fortunata: la mia Hawkinsara esce quasi subito, e ora la controllo.  Come vedete nella foto, le sue radici sono in ottime condizioni per una pianta appena arrivata: non si vedono radici marce e le punte sono verdi (il ché vuol dire che la radice è in crescita).

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3° passo: liberiamo l’orchidea dal substrato vecchio. Se è arrivata in sfagno, è facilissimo; se, come nel mio caso, c’è corteccia, dobbiamo prestare tantissima attenzione a non rovinare le radici staccandole dai pezzi della corteccia. Per farlo poso la mia Hawkinsara sul tavolo e tolgo il substrato vecchio pezzo per pezzo, tenendo i pezzettini con le dita di una mano e con l’altra staccando le radici piano piano per evitare che si rompano. Non bisogna mai tirare ma piuttosto applicare uno sforzo tenero di lato della radice per farla “scivolare” sulla corteccia e quindi staccarsi.

4° passo: la pianta è libera, e la porto in bagno per lavare bene le radici sotto l’acqua tiepida (mai fredda), e poi taglio le radici che sono morte. Come vedete, ce ne sono alcune al centro, saranno quelle vecchissime che poi sono state sostituite da quelle più giovani. Preferisco toglierle, perché il tessuto morto è sempre una fonte del marciume che non mi serve.

Adesso la pianta è pulita.

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5° passo: esamino il substrato vecchio, e mi aspettano due sorprese. Prima, ho trovato le scaglie delle conchiglie. Le conchiglie sono una fonte di calcio, e quando i produttori le mettono nei substrati di certe piante, significa che il substrato acido, come lo sfagno, non è adatto. È la mia prima esperienza con questo ibrido di orchidee, e non sapevo nulla di queste sue particolarità. 🙂 Quindi devo cambiare il substrato che avevo scelto prima.

La seconda sorpresa mostra un’altra ragione per trapiantare le piante appena comprate: guardate questo “amico” che ho trovato. È un centopiedi che si trova spesso nei vasi di piante, e deve essere rimosso. Per ora l’ho messo in una tazza e dopo lo porterò fuori a liberarlo.

6° passo: preparo il substrato nuovo. Per fortuna ho ancora un sacchetto con il substrato già pronto per le orchidee, che ho preso da un garden center. Peccato che i substrati di questo tipo non sono adatti alle orchidee: sono troppo fitti e troppo organici. Guardate quante fibre organiche ci sono! Di questo substrato ne userò solo i pezzi della corteccia che trovo. Il resto non viene assolutamente utilizzato per le orchidee epifite, ma potrebbe essere utile per le orchidee terrestri come i Cypripedium.

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Avendo selezionato i pezzi della corteccia, verifico che non siano troppo grandi: sono più indicati i pezzi di 2-3.5 cm. Quindi quelli più grandi devono essere tagliati in due.

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Voilà, il substrato è quasi pronto!  Perché “quasi”? Perché adesso mi serve una fonte di calcio che deve sostituire le conchiglie del substrato vecchio. Delle conchiglie non ne ho, quindi mi resta di usare l’unica cosa che c’è a disposizione: il guscio dell’uovo. Ricordiamo che non basta solo lavarlo per assicurare che è pronto per l’uso: bisogna anche togliere la pellicina attaccata all’interno del guscio, e lo faccio strofinando il guscio finché la pellicina non si stacca completamente. Poi lo faccio asciugare un po’, lo sminuzzo e lo tengo pronto.

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7° passo: ora è tutto pronto per il trapianto. Metto un po’ di substrato sul fondo del vaso, poi inserisco l’orchidea, e poi la copro con il substrato, mettendo anche alcuni pezzettini del guscio d’uovo sminuzzato all’interno del vaso. Metto però la maggior parte del guscio sulla superficie del substrato: durante le bagnature non uscirà con l’acqua mentre la faccio scollare. Ora il travaso è finito. Mi resta da scrivere il nome della pianta e la data del suo arrivo nella mia collezione sul cartellino, e metterla nella sua posizione sul davanzale. 🙂

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È meglio aspettare per 1-2 giorni con le bagnature delle orchidee appena travasate, per far chiudere le eventuali fratture delle radici. Però spruzzate la superficie del substrato per dare umidità e facilitare il loro adattamento alle condizioni nuove. Le concimazioni cominciano tra 1 mese all’incirca: il substrato fresco è ancora saturo di sostanze nutritive.

Orchidea all’aperto

Con l’inizio della bella stagione tutti noi cominciamo a pensare se vale la pena mettere le nostre orchidee all’aperto. E se in un primo momento potrebbe sembrare un’idea folle, in effetti non lo è: ci sono tante specie che traggono benefici notevoli stando sul balcone oppure in giardino. Bisogna però sapere certi particolari.

1. Predisposizione generale a stare all’aperto. È la prima cosa da considerare. Ci sono le specie che lo gradiscono e quelle che preferiscono invece le condizioni che ci sono all’interno delle nostre case. Tendenzialmente le specie da collocare all’aperto nei posti freschi sono quelle da serra intermedia, intermedio-fredda e, ovviamente, quella fredda. Anche molte specie da serra intermedio-calda possono stare fuori senza nessun problema. Le specie da serra calda stanno meglio all’interno, perché assieme alle temperature elevate necessitano spesso delle condizioni più stabili di quelli che si trovano all’aperto.
Queste sono le indicazioni approssimative: ci sono le eccezioni all’interno di ogni categoria. Ad esempio, le Vande, pur essendo le orchidee da serra calda, gradiscono molto il collocamento temporaneo all’aperto durante l’estate. Quando faccio le guide alla coltivazione di specie varie, specifico sempre se l’orchidea in questione può essere collocata fuori per i benefici per il suo sviluppo.

2. Temperatura. Prima di portare l’orchidea all’aperto bisogna sempre verificare che le temperature notturne stiano come minimo 1-2 gradi sopra quelle minime che possano essere sopportate dalla pianta. Quindi alcune specie possono già essere portate sul balcone o nel giardino all’inizio di maggio, mentre per altre è meglio aspettare fino a giugno.

3. Umidità dell’aria. Se la zona dove abitiamo è caratteristica per l’aria secca, oppure ci sono spesso venti caldi, non è assolutamente consigliato collocare le nostre orchidee all’aperto. L’aria secca e calda le farà evaporare e rinsecchire molto. Il grado minimo dell’umidità deve essere di 50-55%, per alcune specie anche 60%.Risultati immagini per orchidee botaniche

4. Luce. Anche all’aperto le orchidee devono essere fornite delle quantità di luce di cui hanno bisogno; quindi le posizioni troppo al buio non vanno bene. Allo stesso tempo ricordiamo di proteggere le piante dai raggi diretti del sole, utilizzando le tendine fatte di organza oppure un materiale simile. Il sole troppo forte può causare danni irreparabili alla nostra collezione.

5. Bagnature. Teniamo presente il fatto che il substrato si asciugherà molto più in fretta, specialmente nelle giornate più calde. Quindi a volte ci toccherà addirittura di dover bagnare le orchidee ogni giorno, altrimenti si vedranno subito i segni del patimento.

6. Parassiti. L’ambiente esterno è sicuramente molto più ostile per quanto riguarda gli agenti infestanti vari. Da un giorno all’altro le orchidee possono essere aggredite dalle invasioni di afidi, acari, cocciniglie, lumache, etc. Per minimizzare i rischi del genere, consiglio di scegliere un posto per le orchidee con tanta attenzione, evitando di appenderle sotto gli alberi da frutta (che per sua natura attraggono tanti organismi infestanti) o vicino alle piante in fiore, e posizionarle in giardino sulla terra (saranno mangiate dalle lumache). Non è una buona cosa tenere all’aperto le orchidee fiorite: le cocciniglie arrivano in un attimo, e poi è dura farle sparire. Se avete degli esemplari rari da collezione, sarebbe meglio non metterle fuori affatto.

Come vediamo, ci sono alcuni rischi nella coltivazione delle orchidee all’aperto, ed è necessaria una certa attenzione in più, ma ci sono anche tanti benefici: le piante tenute all’aperto per una parte dell’anno diventano più forti, più resistenti, e più predisposte a produrre fioriture stupende.

 

 

Come effettuare le vaporizzazioni

Le vaporizzazioni in genere portano molti benefici alle orchidee: 1) innalzano l’umidità dell’aria e le aiutano a “respirare”, perché i pori delle foglie si aprono solo quando l’umidità è superiore ai 50-60% (per alcune specie addirittura 70%); 2) facilitano l’idratazione delle foglie; 3) aiutano le orchidee a sopportare le temperature elevate, etc. L’argomento di come effettuarle non è però solo la questione di prendere un vaporizzatore e usarlo tutti i giorni: bisogna sapere in che modo vaporizzare le orchidee, quando, con quale acqua, ed alcune altre particolarità.

Per cominciare, parliamo dei momenti giusti per vaporizzare le orchidee. Sono principalmente il mattino e primo pomeriggio. D’estate, se la giornata è soleggiata, c’è tanta luce e fa caldo, io vaporizzo le mie piante 2-3 volte prima di pranzo, quando mi capita di vedere che le foglie sono asciutte. Poi lo faccio ancora una volta dopo pranzo, verso le ore 15. Alla sera le orchidee non si vaporizzano mai: primo, non ne hanno più bisogno, perché ormai la fotosintesi è finita, e quindi l’acqua non la assorbono più; secondo, l’acqua accumulata sulle foglie ma non utilizzata dalla pianta, provoca i marciumi. Nelle giornate nuvolose, quando l’intensità della luce è più bassa, ma fa comunque abbastanza caldo, basta una vaporizzazione al mattino e una al pomeriggio. Quando le temperature non sono elevate, ma comunque c’è molto sole, le spruzzature avvengono una volta al mattino e una a pomeriggio; se, invece, non c’è né luce, né calore, faccio solo una leggera spruzzatura al mattino.

Tutte le orchidee amano le vaporizzazioni della parte superiore del substrato immerso nel vaso, che si asciuga sempre molto più in fretta del resto. Quindi, appena vediamo che il sopra del substrato è già asciutto mentre a metà e in fondo è ancora troppo umido per effettuare la bagnatura, vaporizziamolo!

Adesso parliamo del modo in cui si effettuano le vaporizzazioni. Allora, lo scopo delle vaporizzazioni è imitare le nebbie, non le piogge; quindi, l’acqua che spruzziamo deve coprire le foglie con uno sottilissimo strato di micro-gocce, non di gocce enormi come se fosse appena piovuto. Di solito ogni vaporizzatore si regola per produrre un flusso d’acqua più o meno potente; a noi serve la posizione in cui l’acqua gettata dal becco ha la forma della nebbia. Nella foto potete vedere una foglia di orchidea appena vaporizzata.

Come potete vedere nel video sotto, l’acqua si vaporizza sopra le piante, e poi si posa sulle foglie, imitando la nebbia naturale.

Per quanto riguarda le radici aeree (cioè, quelle che non sono immerse dentro il substrato), la quantità dell’acqua vaporizzata su di loro può essere un po’ più abbondante, perché la assorbono molto più in fretta e non c’è nessun rischio dei ristagni.

Vaporizzando le orchidee, dobbiamo far attenzione a non lasciare l’acqua tra le ascelle delle foglie e nel centro del fusto: si evapora con difficoltà e rischia di provocare il marciume. Se dopo la vaporizzazione se n’è accumulata un po’, dobbiamo toglierla utilizzando i fazzolettini di carta.

L’ultimo argomento è l’acqua che utilizziamo per vaporizzare le orchidee. Si usa solo l’acqua senza calcare, con il contenuto dei minerali relativamente basso. L’acqua di osmosi è ideale; per quelli come me, che non hanno l’impianto osmotico a casa, consiglierei di usare l’acqua dalle sorgenti naturali, che si compra anche ai supermercati (facendo sempre attenzione a non prendere l’acqua con il contenuto alto dei minerali).

E finalmente, ricordiamo, che le vaporizzazioni descritte in questo articolo non possono sostituire le bagnature, ma servono come un’aggiunta per mantenere le orchidee in piena salute.

Come innalzare l’umidità dell’aria

L’umidità dell’aria è uno degli elementi chiave per lo sviluppo regolare delle orchidee. È proprio lei che aiuta le nostre piante a “respirare” nel modo adeguato: se è troppo bassa, le foglie delle orchidee evaporano più acqua di quella che riescono a prendere, e alla fine si seccano. In natura l’umidità dell’aria è strettamente collegata alla vicinanza di fonti d’acqua (fiumi, ruscelli, laghi) e la presenza di nebbie e rugiade. All’interno delle nostre case l’ambiente è tendenzialmente più secco, e se vogliamo coltivare le orchidee con successo, bisogna sapere alcuni piccoli trucchi per aiutarci a risolvere la questione dell’umidità troppo bassa. 🙂

Secondo l’igrometro che si trova nel mio salotto, l’umidità dell’aria attuale in questa stanza è del 37%. Magari andrebbe bene per un cactus, ma sicuramente non per un’orchidea. Nella zona dedicata alla coltivazione delle orchidee l’umidità oscilla tra 55 e 70%, e non è un orchidario. 🙂 Il mio segreto è semplice: lavorando da casa, per la maggior parte della giornata ho la possibilità di usare il vaporizzatore per inumidire l’ambiente. Le vaporizzazioni che faccio non assomigliano alle bagnature (che devono venire a parte), ma piuttosto alla nebbia che le piante avrebbero in natura nei posti dove crescono.

Per coloro che non hanno la possibilità di stare a casa e vaporizzare l’aria intorno alle orchidee alcune volte al giorno, esistono altre soluzioni. Uno dei più efficaci è il così detto sottovaso dell’umidità (humidity tray in inglese), che consiste in un sottovaso profondo (4 – 8 cm) con una griglia sul quale si appoggiano i vasi. Nel sottovaso poi si mette l’acqua che, grazie alla griglia, non tocca i fondi dei vasi e quindi non inumidisce le radici. Una struttura così la potete vedere nella foto.

Attualmente i sottovasi del genere si trovano in vendita soltanto da Roellke Orchideen. Ma ovviamente li possiamo anche costruire da soli, utilizzando i sottovasi disponibili presso i garden center e griglie varie che si potrebbero trovare in giro. Un paio di sistemazioni simili sono presenti nelle foto sotto.

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Se non riusciamo a trovare una griglia adatta a costruire il sottovaso dell’umidità, possiamo sostituirla con il lapillo o pietra lavica sminuzzata (1-2 cm). La utilizziamo per riempire il sottovaso, e poi mettiamo l’acqua nel modo che lo copra completamente. Poniamo le nostre orchidee sui piccoli sottovasi e le posiamo sul lapillo, e voilà, tutto pronto. Un esempio lo potete vedere nella foto.

Per ultimo vorrei sottolineare la necessità di avere un igrometro vicino alle orchidee: solo grazie a lui ci si può accorgere se l’umidità dell’aria è troppo bassa. Il più economico e comodo si trova nei negozi di acquariologia / rettilari, ed è come lo vedete nella foto sotto. Io ce l’ho esattamente così. 🙂

In ogni guida alla coltivazione pubblicata su questo blog scrivo sempre i livelli dell’umidità dell’aria di cui necessitano le specie descritte, e vi possono servire per sapere quanto ne sono esigenti le vostre piante.

Come mettere a riposo un’orchidea

Per molte specie il periodo di riposo non è solo l’unica stimolazione della loro fioritura, ma anche l’elemento chiave per il loro benessere, senza di cui la pianta deperisce nel giro di pochi anni. Il periodo di riposo segue quello della crescita, e avviene durante i mesi invernali, quando nell’habitat delle orchidee le condizioni non sono favorevoli. In questo articolo analizzeremo cosa succede in natura, come vengono influenzate le orchidee, e come prepararle per il riposo.

Quando comincia ad avvicinarsi l’inverno, la prima cosa che succede nei posti di provenienza delle orchidee è che le giornate cominciano ad accorciarsi. Poi scendono un po’ le temperature e arriva il periodo secco, senza piogge. In queste condizioni le orchidee non possono permettersi di continuare a crescere, e per sopravvivere si mettono a “dormire”: il loro metabolismo si rallenta molto, e le piante smettono di produrre la massa verde. A seguire, si “addormentano” anche le radici e smettono di assorbire l’acqua e di portarla alla pianta: ne assorbono solo quantità piccolissime, necessarie per non seccarsi e morire. In questo stato l’orchidea trascorre un paio di mesi, e quando le condizioni naturali cominciano a migliorare, si risveglia e ricomincia il suo ciclo di crescita.

In coltivazione dobbiamo essere noi a fornirle le condizioni giuste per riposare. In Italia i mesi migliori per il suo periodo di riposo sono dicembre e gennaio. A febbraio le giornate cominciano ad allungarsi molto, ed è già il periodo quando la pianta ha voglia di risvegliarsi. Quando arriva il periodo invernale, non possiamo subito mettere la pianta a riposo, tagliandole l’acqua mentre magari sta ancora crescendo. In natura tutto succede gradualmente, e dobbiamo farlo anche noi. Quindi le preparazioni cominciano più o meno alla fine di ottobre. Man mano si abbassano le temperature per arrivare a quelle necessarie (che sono indicate sulle guide di coltivazione), facendo 1-3 gradi in meno da settimana a settimana, così per l’inizio di dicembre sono già ai livelli giusti. Insieme all’abbassamento di temperature si sospendono le concimazioni e si riducono le bagnature, lasciando il substrato completamente asciutto sempre di più tra una bagnatura e l’altra: all’inizio 1 giorno, poi 2 giorni, poi 4 giorni, e così via; e fornendo sempre meno acqua. A dicembre le bagnature devono essere completamente sostituite dalle spruzzature leggere (se l’orchidea cresce in sfagno) / medio-leggere (se è coltivata in corteccia) del substrato ogni 7-10 giorni. Più o meno a metà di novembre si innalza l’umidità dell’aria, per arrivare a 70-75%. Questo punto è molto importante: se l’umidità dell’aria non è sufficiente, l’orchidea evapora troppa acqua mentre “respira”, e dato che le radici non sono in grado di rinnovare le riserve d’acqua all’interno della pianta, si secca e muore. Quindi, all’inizio di dicembre abbiamo: le temperature come devono essere nel periodo di riposo di questa certa specie; l’umidità dell’aria a 70-75%; le spruzzature leggere / medio-leggere del substrato ogni 10 giorni. Adesso si aggiunge l’ultimo elemento: le vaporizzazioni leggerissime quotidiane della parte esterna e delle radici aeree della pianta in questione, che avvengono al mattino. In natura durante questa parte della giornata c’è spesso la rugiada o la nebbia consistente, che forniscono l’umidità aggiuntiva all’orchidea.

Parlando della luce, devo specificare che per la maggior parte delle specie che necessitano del periodo di riposo, l’intensità della luce durante il periodo di riposo non deve diminuire. Per alcune specie, che in natura crescono nei boschi decidui, deve addirittura innalzarsi, perché quando l’albero è senza foglie, l’orchidea che vi cresce riceve molta più luce. L’unica cosa che si riduce durante i mesi di riposo è il fotoperiodo: si abbassa a 8-10 ore al giorno. Se vediamo che la luce naturale a casa nostra non è sufficiente per le necessità delle nostre piante, occorre utilizzare i sistemi di illuminazione artificiale: lampade fito o strisce led dello spettro giusto.

Quando l’orchidea è nel periodo di riposo, può capitare che la vediamo troppo raggrinzita. In questo caso bisogna aumentare un po’ le spruzzature e innalzare l’umidità dell’aria. La pianta non deve mai perdere più di 30% della sua massa.

Con l’arrivo di febbraio molte piante si risvegliano da sole: cominciano a mostrare i primi punti di crescita, siano getti nuovi o steli floreali. Verso la fine di gennaio è opportuno preparare le condizioni giuste per il risveglio: aumentare un pochino le quantità d’acqua e il fotoperiodo, per arrivare alle solite 10-12 ore nella prima settimana di febbraio, e si alzano di 2-5 gradi le temperature. Quando appaiono i segni della crescita, l’acqua aumenta ancora, assieme alle temperature, e alla fine di febbraio le condizioni devono tornare ai livelli normali per il periodo di crescita. 10-14 giorni dopo l’apparenza della crescita nuova si possono ricominciare anche le concimazioni.

Queste sono le indicazioni generali. Ovviamente ci sono specie che hanno le loro particolarità per quanto riguarda il periodo di riposo: alcune non devono stare troppo al secco, altre non hanno bisogno del ribasso di temperature. Queste particolarità si trovano nelle guide di coltivazione di ogni specie, ma il modo di mettere a riposo un’orchidea è sempre quello che è stato descritto in questo articolo.

 

Illuminazione a tubi led

Quando arriva l’autunno e le giornate cominciano ad accorciarsi a vista d’occhio, gli orchidofili si ritrovano con la necessità di pensare a qualche sistema alternativo di illuminazione, per compensare alle proprie piante la mancanza della luce naturale. Non è un capriccio: molte specie patiscono il nostro inverno buio e rallentano / arrestano la crescita, diventando più deboli e stressate. In questo articolo parliamo di un sistema fai da te molto semplice, che impiega relativamente pochi materiali ed è adatto a qualsiasi davanzale.

Si tratta di una plafoniera a tubi led. Mentre non è un problema trovarla in vendita (ad esempio, io ho preso le mie qui: http://www.tecno-eshop.it/categoria-Tubi_LED-154.html ), la domanda è: come fissarla sopra le piante? Ovviamente possono esserci tante idee ma quello che è venuto in mente a me, è questo:

Qui si vede già il risultato completo: la plafoniera sull’appoggio e le orchidee felici sotto. I materiali che ci sono serviti sono state le assi di legno per fare la base e le stecche di legno per fare le gambe.

Adesso spiego come abbiamo realizzato il progetto.

1. Abbiamo tagliato le assi per fare la base su cui si avvita la plafoniera e per fare i rinforzi per le gambe.

2. Abbiamo assemblato la plafoniera, inserito i tubi led e messo il filo elettrico per collegarle alla rete domestica (le plafoniere vengono fornite senza filo).

3. Abbiamo avvitato la plafoniera sulla base.

4. Abbiamo perforato i rinforzi e nei buchi fatti abbiamo inserito le gambe, fissandole con la colla.

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5. Abbiamo avvitato la base con la plafoniera sui rinforzi.

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Ovviamente occorre fare attenzione alle misure: la base su cui viene avvitata la plafoniera deve essere leggermente più lunga della plafoniera stessa, le basi di appoggio devono essere più o meno della misura del davanzale (ammesso che questa sia il loro posizionamento) in modo da non sbilanciarle verso una facile caduta, occorre misurare le stecche di legno in modo da calibrarle ad una altezza giusta e non troppo vicino/lontano dalle piante), etc…

Alla fine abbiamo ottenuto una struttura stabile e pratica, fatta di materiali a basso costo, che serve benissimo al suo scopo.

SUBSTRATI

Corteccia

Tutti sappiamo che la corteccia di pino è il componente principale di quasi tutti i substrati impiegati per le orchidee epifite e semi-terrestri. È il materiale ideale per garantire l’accesso dell’aria alle radici delle piante. Ma non sempre sappiamo le particolarità di questo materiale e come bisogna sceglierlo per ottenere i risultati migliori nella coltivazione.

Innanzitutto, è importante ricordare che i substrati commerciali per le orchidee, che si vendono nei garden, non sono adatti alle specie epifite e semi-terrestri: sono troppo fitti e portano al soffocamento e marciume delle radici. Però vanno benissimo come un componente dei substrati per le specie terrestri (come le Cypripedium, Pleione, Habenarie), che va poi mescolato ai materiali non-organici (come la perlite, la vermiculite, ecc). Per le orchidee epifite abbiamo bisogno della corteccia pura.

Qualità

Adesso parliamo della qualità. Non tutta la corteccia è adatta alla coltivazione di orchidee. Quella che si compra nei garden è di qualità abbastanza bassa; è indicata per essere usata come materiale da pacciamatura. Nei sacchi in cui viene venduta sono sempre presenti spore di muffe e di funghi. Se decidiamo di usarla per le nostre orchidee, dobbiamo ricordare di cambiarla abbastanza spesso, come minimo 1 volta ogni 1 – 1.5 anni. Una scelta decisamente migliore è di prendere la corteccia dai rivenditori di orchidee: ha una qualità molto più alta ed è anche disponibile in varie dimensioni (da quella piccola, con i pezzi di 0.5-1 cm, a quella grande, di 4-6 cm). Il substrato fatto a base di corteccia di questo tipo si cambia 1 volta ogni 2-3 anni, e solo perché, come tutti i substrati organici, si “invecchia”: si decompone ed accumula eccessi di sali minerali dai concimi che usiamo. Io utilizzo questo tipo di corteccia, prendendola dai vari rivenditori tedeschi.

Molti coltivatori hanno confermato gli stupendi risultati di coltivazione dall’utilizzo della corteccia di Pinus radiata, la quale viene venduta sotto la marca “Orchiata”. Questa corteccia è molto più dura rispetto agli altri tipi, perciò il processo di accumulo di sostanze tossiche è molto lungo. Inoltre, non contiene i batteri dannosi per le orchidee ma solo quelli utili per mantenere l’equilibrio microbiologico del substrato. L’Orchiata di taglia piccola (3-6 o 6-9 mm) è ideale per le piantine deflascate (non si sterilizza). È abbastanza rara in commercio; in Italia attualmente la vende Riboni.

Sterilizzazione

La sterilizzazione della corteccia di tutti i tipi a microonde è da evitare: diventa molto più soggetta alle muffe, che alle volte si sviluppano a vista d’occhio. Le loro spore sono ovunque, anche in casa, e posandosi sul substrato sterile, su cui non devono combattere per sopravvivere, prolificano.

Miscele

Per creare vari tipi di substrati la corteccia viene spesso mescolata ad altri componenti: sfagno, perlite, fibre di cocco, ecc. Di per sé non ha assolutamente nessun effetto sulla salute e benessere delle orchidee: viene fatto solo per ricreare una miscela ideale per quanto riguarda il mantenimento dell’umidità e l’arieggiamento delle radici. Io personalmente utilizzo la corteccia pura, variando le sue dimensioni (taglia più grande per le piante con le radici più sensibili all’eccesso dell’umido, e taglia più piccola per quelle che hanno bisogno dell’umido). Ci sono però delle specie che hanno bisogno del pH più alto del solito (6.8 – 7.2): in questo caso è opportuno aggiungere alla corteccia le conchiglie sminuzzate.

Perlite

Oggi parliamo di un componente molto importante di substrati: la perlite. La perlite è ottenuta dalla roccia vulcanica sottoposta a vari processi termici, che ne provocano l’espansione. Come risultato si ottengono chicchi leggeri e fragili, ideali per far parte dei substrati per tutte le piante. La perlite è un materiale inerte (non modifica le reazioni chimiche all’interno del substrato) e minerale (non contiene particelle organiche).

La perlite si utilizza principalmente insieme allo sfagno: mescolata a esso crea un substrato abbastanza arieggiato e non permette allo sfagno di comprimersi, diventando un “panetto” duro. Di conseguenza, le radici delle orchidee respirano meglio e si asciugano meglio dopo le bagnature. Per creare questo tipo di substrato io uso sfagno e perlite in parti uguali. È importante mescolarli bene insieme, perché i chicchi di perlite tendono a separarsi molto facilmente dalle fibre di sfagno e accumularsi sul fondo del vaso al posto di essere uniformemente distribuiti tra le fibre.

Un altro tipo di substrato dove la perlite è insostituibile è quello per le orchidee terrestri (Cypripedium, Pecteilis, ecc). Mescolata ad altri ingredienti, riduce sostanziosamente la parte organica che non deve essere eccessiva per le specie terrestri montane. Per di più, favorisce il respiro corretto delle radici grazie alle sue capacità di produrre un substrato arieggiato.

Non è difficile trovare la perlite in vendita. Io per esempio la prendo dal Viridea, ma è disponibile anche online dai vari venditori (ad es. http://www.indoorline.com/terricci-e-substrati-agriperlite/c182/ ).

Sfagno

È arrivato il periodo di trapianti delle nostre orchidee, ed è un buon momento per parlare dei substrati. 🙂 Oggi diamo attenzione allo sfagno, che da tempo si utilizza come uno dei substrati principali nel campo dell’orchidofilia. Lo sfagno (Sphagnum) è un muschio molto lungo e leggero, che cresce nelle paludi. Preferisce i climi temperati, con giorni e notti fresche, perciò in Italia si trova solo in alcune zone di montagna.

Quello che ci interessa per le nostre piante è lo sfagno dissecato a fibra grossa. Si trova abbastanza facilmente in vendita, ma bisogna fare tanta attenzione alla qualità: non tutto lo sfagno presenta i risultati migliori per quanto riguarda lo sviluppo e la salute delle nostre piante. La maggior parte di sfagno in vendita (sia in Italia che all’estero) ha una qualità medio-bassa: le fibre sono lunghe ma non molto “piumose”, il ché vuol dire che non daranno un buon ritenimento dell’umidità. Poi nei pacchi con questo sfagno c’è anche una parte (abbastanza grande) di piccoli pezzi di fibra, che non sono adatti per fare un buon substrato per le orchidee. Tutto ciò è dovuto al fatto che lo sfagno non è stato raccolto e dissecato con cura. Ovviamente il suo prezzo al mercato è basso e lo usiamo quasi tutti (me compresa), e per certi scopi va benissimo. Bisogna però ricordare che il substrato composto da questo tipo di sfagno sarà da cambiare abbastanza spesso, come minimo ogni 8 mesi (in ideale ogni 6 mesi).

Lo sfagno ideale è quello di prima scelta, raccolto e dissecato nel modo naturale in Cile e Nuova Zelanda, ed è più caro di quello “normale”. Si riconosce subito dalle fibre lunghe, quasi bianche o marrone chiaro (mai scure) e molto cotonose. Lo sfagno di questo tipo non viene mai compresso, quindi non esiste in tavolette che sono disponibili da quasi tutti i venditori di orchidee. Nelle foto di sotto si vede la differenza tra lo sfagno normale (dissecato artificialmente, molte fibre sottili, si vede anche a vista che è duro) e lo sfagno di prima scelta (fibre vaporose, chiare, cotonose).

sfagno

Lo sfagno così può mantenere le sue qualità anche per 1 anno dal momento del rinvaso. Ovviamente, al confronto con la corteccia, lo sfagno ha una vita corta, ma è perché si degrada molto più velocemente, specialmente con l’utilizzo dei concimi. I benefici che può portare alle nostre orchidee sono numerosi: un substrato soffice che 1) non rovina le radici quando viene tolto durante il trapianto; 2) mantiene molto bene le condizioni umide; 3) abbassa naturalmente il pH.

Lo sfagno di prima scelta può essere utilizzato anche da solo, senza nessuna aggiunta: mantiene la sua “vaporosità” molto bene, non si comprime e non soffoca le radici. Quello “normale” invece deve sempre essere mescolato con la perlite per prevenire la sua compressione con il tempo (credo che tutti ricordiamo quei “panetti” duri e secchi che alle volte vediamo nei vasi quando lo sfagno si asciuga). Io li mescolo nella proporzione 1 : 1, e funziona bene. Ovviamente il substrato fatto così lo sostituisco più o meno ogni 6-7 mesi.