SAURI TROPICALI

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Diversi Sauri tropicali sono più o meno strettamente legati all’acqua. Tra questi, tre generi in particolare sono di un certo interesse per l’acquariofilo-terrariofilo, poiché figurano tra le poche “lucertole” allevabili nei paludari e negli acquaterrari tropicali, ovvero in vasche on un’ampia sezione riservata all’ambiente acquatico. Entro certi limiti si possono perfino tenere insieme ai pesci!
Della famiglia sudamericana dei Teidi (Teiidae) gli appassionati conoscono i ben noti “tegu”, grossi lucertoloni dall’aspetto primitivo che, soprattutto in Italia, stanno conoscendo un discreto successo come “sostituti” dei varani dalla metà degli anni Novanta, da quando cioè questi ultimi sono stati inclusi nella famigerata legge sugli “animali che possono costituire un pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione”.

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Assai meno conosciute sono le loro cugine “Caiman Lizards” appartenenti al genere Dracaena Daudin, 1802, da non confondersi con le popolarissime piante esotiche da appartamento che portano lo stesso nome (una coincidenza peraltro molto rara, perchè – pur tollerandolo – i codici di nomenclatura zoologica e botanica scoraggiano entrambi l’uso di uno stesso nome per un animale e una pianta).
Le “lucertole-caimano” devono il loro nome alle grosse squame dorsali a cuspide simili a quelle dei coccodrilli, ma anche alle loro notevoli dimensioni (possono facilmente raggiungere il metro di lunghezza), alle abitudini spiccatamente acquatiche e alla robusta coda compressa sui lati (decisamente “coccodrilliana”) che assicura loro una formidabile propulsione nel nuoto. Delle sole due specie finora note, l’unica reperibile sul mercato terraristico è D. guianensis (Lacepède, 1788), scoperta presso la Cayenne (Guyana francese) ma in realtà ampiamente diffusa nel Sud America tropicale (Amazzonia brasiliana e peruviana, Colombia, Ecuador e Guyana).

Habitat di Dracaena guianensis
Habitat di Dracaena guianensis

La “jacuruxy” come viene familiarmente chiamata in Brasile, vive presso i corsi e le raccolte d’acqua della selva e della foresta pluviale, arrampicandosi e sostando a riscaldarsi al sole sui tronchi e sugli arbusti che crescono lungo le rive, pronta però al minimo segno di pericolo a tuffarsi in acqua, dove si trova molto più a suo agio che sugli alberi o sulla terraferma. Possiede una dentatura massiccia e robusta, atta a frantumare i gusci di grossi gasteropodi acquatici (ampullarie e simili) che costituiscono il piatto forte della sua dieta anche in cattività. Bisogna guardarsene, perché gli adulti sono piuttosto mordaci e in grado di sferrare morsi molto dolorosi, oltreché temibili colpi di coda. Una curiosità: questa specie depone le uova nei nidi delle termiti, assicurando loro una non comune protezione.
Costosissimo e molto impegnativo (richiede vasche enormi e un vero e proprio allevamento di ampullarie per soddisfarne le esigenze alimentari!) questo sauro è riservato a terrario fili facoltosi ed esperti. Se ben tenuto, può raggiungere una decina d’anni di vita in cattività. Inserita nell’Appendice II della Convenzione di Washington (CITES), D. guianensis richiede l’apposita documentazione per il commercio e la detenzione, sia che si tratti di esemplari “wild” che nati in cattività.

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I “draghi” con la coda a vela

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I fantastici Agamidi del genere Hydrosaurus Kaup, 1828 (sottofamiglia Hydrosaurinae) sono i sauri acquatici per eccellenza, come testimoniano sia il nome scientifico (“lucertola d’acqua”) che quello comune di “Sailfin Dragons” (“draghi pinne a vela”), quest’ultimo riferito all’ampia cresta cuadale, supportata dai processi vertebrali nella porzione anteriore, che assicura loro una formidabile spinta nel nuoto. Per il loro affascinante aspetto primitivo, che ne fa dei veri e propri “dinosauri” in miniatura (anch’essi superano il metro di lunghezza, di cui oltre la metà spettante alla coda), sono da sempre oggetto del desiderio di tanti terrario fili, ma trovarli in commercio non è mai stato semplice, nonostante siano piuttosto comuni in natura e non presentino particolari difficoltà di allevamento. Anche gli idrosauri, come la dracena, richiedono acqua terrari “extra large” (parliamo di vasche di almeno un paio di metri di lunghezza), in compenso sono assai più semplici da nutrire: i giovani sono prevalentemente insettivori (grilli, blatte, bachi, lombrichi), crescendo diventano più onnivori e da adulti necessitano di una dieta più varia, a base di frutta polposa, lattuga e altre insalate, uova, pezzi di carne e di pesce. Timidi e piuttosto nervosi, a dispetto del loro aspetto piuttosto minaccioso, vanno approcciati sempre on molta cautela, riducendo al minimo gli interventi nel terrario. I maschi, piuttosto territoriali e aggressivi tra loro, sono riconoscibili per i pori anali e femorali molto evidenti. Se ne conoscono tre specie, tutte occasionalmente disponibili (purtroppo a caro prezzo) sul mercato terraristico: H. amboinensis (Schlosser, 1768) dell’Arcipelago Indonesiano e della Nuova Guinea; H. pustulatus (Eschscholtz, 1829) delle Filippine e H. weberi Barbour, 1911 dell’Indonesia. Nessuna di esse necessita di CITES per il commercio. Molto longevi, gli idrosauri possono eccezionalmente raggiungere il quarto di secolo di vita in cattività, anche se in genere non superano i 15 anni.

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Il drago cinese che ama l’acqua

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Tra i più piccoli della vasta famiglia degli Agamidi, il genere Physignathus Cuvier, 1829 contava fino a un recente passato una mezza dozzina di specie, ma a seguito di recenti revisioni sistematiche (l’ultima è del 2012) è oggi divenuto monotipico, costituito cioè da una sola specie: P. cocincinus (Cuvier, 1829), o “Chinese Water Dragon”. Lungo fino a 80 cm (in media 50-70 cm), di cui quasi i due terzi spettanti alla coda, il “drago d’acqua cinese” è endemico dell’Indocina (sud della Cina, Birmania, Laos, Thailandia e Vietnam), dove vive lungo i fiumi e i torrenti che scorrono nelle fitte boscaglie. Durante la stagione delle piogge, lo si trova spesso nelle foreste allagate dalle piene monsoniche di fiumi e laghi.

img026Arboricolo e acquatico, trascorre buona parte della sua vita tra le fronde degli alberi che costeggiano le raccolte d’acqua, non esitando a tuffarsi in caso di pericolo, nuotando velocemente con l’ausilio della potente coda e riuscendo, se necessario a rimanere sommerso in apnea per diversi minuti. Sulla terraferma, il fisignato si mostra assai meno agile e disinvolto che in acqua o sugli alberi, tuttavia – in caso di necessità – è in grado di correre per brevi tratti erigendosi sulle robuste zampe posteriori, come fanno i basilischi americani e i clamidosauri australiani, arrivando a sfiorare i 12 km all’ora!
In natura gli individui adulti formano degli harem, in cui il maschio dominante si accompagna a diverse femmine. I maschi sono di regola più grandi di queste ultime e con la testa più sviluppata, munita di una vistosa cresta nucale formata da squame più grandi di quelle che costituiscono la cresta dorsale e caudale; inoltre, presentano la base della coda notevolmente più larga, con pori femorali ben visibili. Per stabilire le gerarchie, essi si confrontano mostrando le loro livree più sgargianti e muovono ritmicamente la testa in v. erticale, per poi passare eventualmente a combattimenti veri e propri a suon di morsi, che lasciano a volte profonde ferite. I soggetti sottomessi manifestano una colorazione generalmente più scura e dimessa, nonché una cresta nucale meno sviluppata.

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Onnivoro, in natura il fisignato si nutre di un’ampia varietà di alimenti: piccoli mammiferi acquatici, pesci, rane e girini, granchi, insetti e vegetali (frutti, bacche, germogli). L’alimentazione in terrario non presenta difficoltà e può essere costituita da tutta la gamma di prede vive normalmente offerte ai sauri: grilli, cavallette, camole del miele e della farina, bachi da seta, grossi lombrichi, ecc.; anche i topini pinkies non sono disdegnati dagli individui più grandi, molti esemplari accettano volentieri la frutta fresca e le marmellate.
Il drago d’acqua cinese non richiede CITES e ciò, insieme al suo prezzo relativamente contenuto e alla sua notevole robustezza, nonché alla facilità con cui si riproduce in cattività, ne fa uno dei sauri più frequentemente reperibili in commercio, oramai soprattutto con giovani individui dall’allevamento europeo ed americano, essendo per fortuna la quota di esemplari selvatici ridotta ai minimi termini. Longevità massima: oltre 15 anni in terrario.

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Riprodurre il drago d’acqua cinese
La riproduzione di Physignathus cocincinus richiede un ciclo di preparazione nel periodo invernale, tra fine novembre e febbraio, consistente nell’accorciare gradualmente il fotoperiodo (da 10-12 a 8 ore di luce al giorno) e quindi l’attività diurna degli animali, mentre la temperatura calerà solo di pochi gradi (6-7°C), tra dicembre e gennaio. Durante la brum azione, l’alimentazione dovrà essere ridotta e andrà fornito mediamente un solo pasto alla settimana. Da febbraio-marzo si ripristineranno progressivamente le condizioni normali, simulando il succedersi naturale delle stagioni: aumenteranno perciò le ore di illuminazione e l’alimentazione tornerà ad essere regolare ed abbondante. Circa 10-15 giorni dopo l’accoppiamento, la femmina depone da 7 a 12 uova scavando una buca conica in un contenitore – appositamente preparato – riempito di sabbia morbida, umida ma non eccessivamente compatta, profonda almeno 20-25 cm. Le uova andranno quindi rimosse, facendo molta attenzione a non ruotarle dalla posizione originaria, e poste in un’incubatrice con temperatura impostata sui 27-30°C e un’umidità dell’80%. In queste condizioni, l’incubazione dura circa 70 giorni. Studi sulla T.D.S.D. (Temperature Dependent Sex Determination) del fisignato hanno dimostrato che a 27°C nascono prevalentemente maschi, mentre a 28-30°C in maggioranza femmine. Alla schiusa i draghetti sono lunghi circa 13-15 cm (buona parte di coda!) e pesano appena 3-4 gr. Nel primo giorno di vita non assumono cibo, in quanto devono riassorbire completamente il sacco vitellino, ma già dal secondo giorno si potranno offrir loro piccoli grilli e camole nane, accettati con crescente voracità.

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Un raro “draghetto” dall’Australia

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Ancora conosciuto dai più come Physignathus l’”Australian Water Dragon” Intellagama lesueurii (Gray, 1831) è ambitissimo dai terrariofili di tutto il mondo ma assai più raro in cattività del cugino cinese, a causa delle severe restrizioni sull’esportazione di animali dall’Australia, dove questo Agamide è endemico (si trova con un paio di sottospecie lungo tutta la costa orientale del continente australiano, dalla Penisola di Capo York al Nuovo Galles del Sud); in commercio si trovano perciò solo rari individui di riproduzione, a prezzi davvero da…amatore. Un esemplare di 120 cm, rinvenuto nel Bundaland-Queensland (Australia orientale), costituisce il record assoluto di dimensioni per questa specie, lunga in media 70-90 cm. All’interno del suo vasto areale di distribuzione si registrano temperature estremamente variabili, da -2°C a oltre 50°C!
Per riprodurla è perciò indispensabile garantirle un periodo di brum azione invernale a una lunga, calda estate. Alimentazione come la specie precedente. Longevità: fino a una ventina di anni.

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ACQUATERRARI SPAZIOSI PER ALLEVARLI BENE

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Tutti questi sauri si possono allevare in un grande paludario o acquaterrario tropicale (minimo 200x100x150h cm per una coppia: P. cocincinus richiede in teoria meno spazio, ma dovendolo come detto allevare preferibilmente in harem anziché in coppia, di fatto non si dovrebbe tenere in vasche più piccole), arredato con tronchi e rami robusti saldamente fissati alle pareti e al fondo. Anche le piante dovranno essere robuste e ben radicate o legate al substrato: Ficus, Houttuynia, Dracaena, Epipremnum (=Pothos), Nephrolepis, Asplenium, bromelie, ecc. Sopratuttto gli idrosauri adulti non disdegnano per la loro dieta le succose foglie, i germogli e i fiori delle piante “ornamentali”, per cui bisogna rassegnarsi a qualche perdita od optare per le piante…finte. La parte acquatica sarà ampia (minimo il 50-60% della superficie di base) e sufficientemente profonda (almeno una ventina di centimetri, anche 40-50 cm per idrosauri e dracene), per evitare eccessivi sconvolgimenti durante le frequenti escursioni natatorie dei sauri; è consigliabile equipaggiarla con un filtro rapido a circolazione forzata caricato con zeolite e carbone attivo rinnovati ogni 10-15 gg., accorgimento che non esime però dal cambiare almeno 1/3 del volume tutte le settimane. Questi sauri, infatti, hanno quasi sempre l’abitudine di defecare in acqua. Il substrato ideale è costituito da pezzetti di corteccia, anche del tipo usato per la pacciamatura delle aiuole.

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Oltre alla normale illuminazione, regolata da un timer per il fotoperiodo giornaliero (10-12 ore), andrà necessariamente inserita nel terrario una lampada a raggi UV-B (5-7%), indispensabile per l’assimilazione della vitamina D e per il fissaggio del calcio nel sistema osseo. Il riscaldamento che può essere fornito da una lampada a infrarossi, eventualmente accoppiata ad un cavetto riscaldante per il terreno e a un termo riscaldatore per la parte acquatica nei terrari più grandi, deve garantire all’interno della teca una temperatura compresa tra i 25 ed i 30°C di giorno, con un’escursione termica notturna abbastanza modesta (4-5°C). Una zona-spot più calda (basking) fino a 35°C, può essere creata in un punto del terrario e sarà molto gradita ai draghi d’acqua per favorire la digestione. L’umidità ottimale dovrà attestarsi intorno all’80%.
Soprattutto le dracene e gli idrosauri sono rettili estremamente timidi: un terrario privo di nascondigli nei quali essi possano sentirsi al sicuro li renderebbe tanto nervosi da provocare degli scatti, con la conseguenza di fargli sbattere il muso violentemente contro le pareti del terrario. Simili ferite, ripetute nel tempo, portano a lesioni gravi dell’apparato buccale e, se non curate in tempo, anche a forme di necrosi dei tessuti interessati.

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