Piante carnivore

Dionaea-muscipula

PIANTE CARNIVORE

Le piante carnivore (dette talvolta piante insettivore) sono piante che intrappolano e consumano protozoi ed animali, specialmente insetti ed altri artropodi, al fine di ottenere i nutrienti essenziali per la loro crescita.
Questa singolare caratteristica è il risultato di un adattamento a quegli ambienti, come paludi, torbiere o rocce affioranti, in cui il suolo per la forte acidità è povero o privo di nutrienti e in particolar modo d’azoto, che viene così integrato dalla pianta attraverso le digestione delle proteine animali.
Il primo a scrivere un trattato sulle piante carnivore fu Charles Darwin nel 1875.
Ne esistono circa 600 specie diffuse in tutto il mondo, distribuite in circa 12 generi e 5 famiglie. Oltre a queste, esistono anche circa 300 specie di piante protocarnivore, divise in diversi generi, che possiedono alcune ma non tutte le caratteristiche per essere considerate vere carnivore.
Naturalmente in questa sede, verranno prese in considerazione, solo le specie tropicali, adatte più o meno ad essere inserite in un terrario ad ambientazione tropicale.

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SISTEMATICA
La classificazione scientifica delle piante carnivore, ed in generale di tutte le piante a fiore, è in continua evoluzione.
Nel sistema Cronquist, le famiglie Droseraceae e Nepenthaceae sono incluse nell’ordine Nepenthales, in base alla simmetria radiale dei loro fiori e del tipo di trappola per la cattura degli insetti. Anche la famiglia delle Sarraceniaceae viene posta in quest’ordine.
Le Byblidaceae, Cephalotaceae e Roridulaceae appartengono all’ordine Saxifragales mentre le Lentibulariaceae alle Scrophulariales.
Con le moderne classificazioni, come quella dell’Angiosperm Phylogeny Group, le famiglie a cui appartengono le piante carnivore sono rimaste le medesime ma hanno subito una ridistribuzione all’interno dei vari ordini. il genere Drosophyllum viene considerato appartenere ad una famiglia monotipica, le Drosophyllaceae, che si discosta dalle Droseraceae e che probabilmente è più strettamente affine alle Dioncophyllaceae.
Di seguito è riportata una classificazione aggiornata dei generi che includono sia le piante carnivore che le semi-carnivore:

    Divisione

Magnoliophyta
Classe
Magnoliopsida – Liliopsida
Ordine
Caryophyllales – Ericales – Lamiales – Oxalidales –Poales
Famiglia
Dioncophyllaceae – Droseraceae – Nepenthaceae –Roridulaceae – Sarraceniaceae – Byblidaeceae – Lentibulariaceae – Martyniaceae – Cephalotaceae – Bromeliaceae – Eriocaulaceae
Genere
Triphyophyllum – Drosophyllum – Aldrovanda – Dionaea – Drosera – Nepenthes – Roridula – Sarracenia – Darlingtonia – Heliamphora – Byblis – Pinguicula – Genlisea – Utricularia – Ibicella – Cephalotus – Brocchinia – Catopsis – Paepalanthus

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CARATTERISTICHE GENERALI
Le piante carnivore sono delle piante erbacee, che in risposta alla carenza di nutrienti propria del loro habitat, si sono adattate a ricavare le sostanze nutritive dalla digestione delle proteine degli animali. Questi vengono catturati per mezzo di trappole più o meno efficienti che derivano generalmente da foglie modificate.
Il primo a coniare il termine di “carnivore” fu Lloyd nel 1942, mentre prima (e in alcuni casi ancora oggi) veniva utilizzato il termine di piante insettivore. Poiché queste piante non si nutrono soltanto di insetti, ma anche di altri artropodi o di altri piccoli animali, si è ritenuto fosse più corretto utilizzare il termine di piante carnivore.
Vivono in ambienti estremi come le torbiere e in suoli acidi e privi di calcio, con una bassissima concentrazione di sostanze nutritive quali azoto, fosforo o potassio.
Le piante carnivore presentano delle radici piuttosto piccole in relazione alle dimensioni delle piante. Questo è dovuto al fatto che la pianta spende più energia nella “costruzione” delle trappole e nella produzione degli enzimi digestivi, piuttosto che accrescere la biomassaradicale. In questo modo il compito di assorbire l’azoto e gli altri nutrienti è affidato alle foglie piuttosto che alle radici.
Sono generalmente piante perenni, sebbene ne esistano anche di annuali. Molte vivono solo per pochi anni, mentre altre possono formare delle colonie per mezzo della formazione di stoloni.
Sono delle deboli competitrici nei confronti delle altre piante. Se, per esempio, il loro habitat subisce dei drastici cambiamenti, come l’essiccamento, vengono prontamente rimpiazzate dalle piante non carnivore, molto più efficienti nel compiere la fotosintesi in ambienti “normali” rispetto alle carnivore.

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MECCANISMI DI INTRAPPOLAMENTO
Le piante carnivore hanno sviluppato cinque diversi tipi di trappole per la cattura degli organismi di cui si nutrono. Queste sono:
Trappole ad ascidio: le prede vengono intrappolate all’interno di una foglia a forma di caraffa, contenente enzimi digestivi e/o batteri;
• Trappole adesive: la cattura avviene tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie;
• Trappole a scatto o a tagliola: in seguito al rilevamento di una possibile preda per mezzo di parti sensibili, un rapido movimento delle foglie la immobilizza al loro interno;
• Trappole ad aspirazione: la preda viene risucchiata da una struttura simile ad una vescica, l’utricolo, al cui interno si genera un vuoto di pressione;
• Trappole a nassa: presentano dei peli che dirigono forzatamente la preda all’interno dell’organo digestivo.
Queste trappole possono essere classificate anche come attive o passive, in base alla partecipazione della pianta alla cattura. Ad esempio, le piante di Triphyophyllum mostrano una trappola adesiva passiva, che secerne mucillagine ma non è accompagnata da un movimento o sviluppo delle foglie in risposta alla cattura della preda. Al contrario le trappole adesive delle piante del genere Drosera, sono considerate attive per la presenza di foglie che, con una rapida crescita cellulare, avvolgono la preda favorendone la digestione.
È interessante notare come i diversi tipi di trappola siano specializzati nella cattura di diversi tipi di prede: le piante con trappole adesive catturano piccoli insetti volanti, quelle con trappola ad ascidio sono in grado di predare insetti volanti di maggiori dimensioni, mentre la trappola a tagliola è adatta a catturare insetti del suolo di dimensioni relativamente grandi.

Trappola ad ascidio

h_neblinae_avar02Questi tipi di trappole si sono evolute in modo indipendente almeno in quattro occasioni. Le più semplici sono probabilmente quelle del genere Heliamphora: in queste piante le trappole sono chiaramente il risultato di una modificazione delle foglie che hanno subito un arrotolamento con saldatura fra i margini.
Queste piante sono originarie delle aree sudamericane ad intensa precipitazione e, di conseguenza, devono assicurarsi che l’ascidio non venga riempito eccessivamente dall’acqua piovana. Per risolvere il problema, la selezione naturale ha favorito l’evoluzione di uno scarico, simile a quello di un lavandino: un piccolo varco tra i margini fogliari incernierati che permette all’acqua in eccesso di fluire all’esterno dell’ascidio.
Heliamphora è un membro delle Sarraceniaceae, una famiglia del Nuovo Mondo cui appartengono altri due generi di piante carnivore:Sarracenia, endemica della Florida, e Darlingtonia, originaria della California.           La Sarracenia purpurea subsp. purpurea ha una distribuzione più estesa, spingendosi fino in Canada.
Nel genere Sarracenia, il problema dell’eccessivo riempimento dell’ascidio viene risolto per mezzo della presenza di un opercolo: un’espansione della foglia che copre l’apertura del tubo, proteggendolo dalla pioggia. Probabilmente a causa di questo migliore riparo dall’acqua, le specie di Sarracenia riescono a secernere degli enzimi, come proteasi e fosfatasi, nel fluido digestivo nel fondo dell’ascidio, mentre le Heliamphora si affidano soltanto ad una digestione batterica. Questi enzimi digeriscono le proteine e gli acidi nucleici della preda, rilasciando amminoacidi e ionifosfato, che vengono assorbiti dalla pianta.

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La pianta cobra (Darlingtonia californica) possiede un adattamento presente anche nella Sarracenia psittacina e in minor misura anche nella Sarracenia minor: l’opercolo è un rigonfiamento che chiude in parte l’apertura dell’ascidio. La sua cavità è puntellata da areole che, prive di clorofilla, permettono alla luce di penetrare all’interno del tubo. Attraversando l’apertura posta nella regione inferiore dell’opercolo, gli insetti (in particolare le formiche), una volta all’interno, tentano di scappare utilizzando questa falsa uscita, fino a quando non cadono all’interno del tubo digestivo. Anche alcune giovani plantule di Sarracenia possiedono un lungo e sporgente opercolo; si ritiene quindi che la Darlingtonia rappresenti un caso di neotenia.

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Il secondo maggior gruppo di piante ad ascidio è rappresentato dal genere Nepenthes, le cui circa 100 specie possiedono degli ascidi sostenuti dalla parte finale di un viticcio che si sviluppa come un’estensione della nervatura principale della foglia. Molte specie cacciano insetti, sebbene le più grandi, ed in particolare la Nepenthes rajah, catturino occasionalmente piccoli mammiferi e rettili. Questi contenitori rappresentano infatti un’attraente fonte di cibo per piccoli insettivori. Per evitare catture accidentali la Nepenthes bicalcarata possiede due spine acuminate che proietta dalla base dell’opercolo verso l’entrata dell’ascidio e con le quali cerca di proteggersi dalle incursioni di questi mammiferi. Questa tesi, però, non è accettata da tutti i ricercatori.

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Cephalotus follicularis

Le trappole ad ascidio si sono evolute almeno in altri due gruppi. Cephalotus follicularis è una piccola pianta carnivora dell’Australia occidentale con ascidio a forma di mocassino. In questa specie il peristoma, l’orlo che borda l’apertura dell’ascidio, è particolarmente pronunciato, secerne del nettare ed è provvisto di sporgenze spinose nell’apertura che impediscono agli insetti intrappolati di fuoriuscire. La parete di molte piante con ascidi è coperta da uno strato ceroso, scivoloso per gli insetti che vengono spesso attratti dal nettare secreto dal peristoma e dalla brillante colorazione antocianina, simile a quella dei fiori. Nella Sarracenia flava, il nettare è corretto con la coniina, un alcaloide tossico presente anche nella cicuta, che probabilmente incrementa l’efficienza della trappola intossicando la preda stessa.

Brocchinia reducta
Brocchinia reducta

Un’altra carnivora con trappola ad ascidio è la Brocchinia reducta. Questa bromeliacea possiede, come l’ananas, un’urna formata da foglie cerose strettamente riunite alla base. In molte bromeliacee, l’acqua penetra e ristagna all’interno dell’urna che diventa habitat per rane, insetti e batteri azotofissatori di grande importanza per la pianta. Nella Brocchinia, l’urna si è specializzata come trappola per insetti, contenente una popolazione di batteri digestivi ed un rivestimento ceroso interno.

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Pinguicula moranensis

Trappola adesiva

Le trappole adesive sono quelle in cui il meccanismo di intrappolamento si basa sulle proprietà collose di una mucillagine secreta da apposite ghiandole presenti nelle foglie. Queste ghiandole possono essere piccole e praticamente invisibili a occhio nudo (come quelle del genere Pinguicula) oppure lunghe e, in alcuni casi, mobili (come nel genere Drosera). Le trappole adesive si sono evolute indipendentemente almeno cinque volte nelle varie piante che le posseggono.
Nel genere Pinguicula, le ghiandole sono brevi e sessili. Le foglie lucenti non fanno apparire queste piante particolarmente carnivore, ma in realtà sono di fatto delle trappole estremamente efficaci per la cattura di piccoli insetti volanti (come i moscerini dei funghi), rispondendo alla cattura con una crescita relativamente rapida. Questo sviluppo tigmotropico può produrre un arrotolamento della lamina fogliare (per evitare che la pioggia faccia scivolare via la preda dalla superficie della foglia) od un infossamento della superficie sotto la preda (per formare un pozzo digestivo poco profondo).

Drosera burmannii
Drosera burmannii

Il genere Drosera comprende oltre 100 specie con trappole adesive attive, le cui ghiandole sono poste all’estremità di lunghi tentacoli che si muovono abbastanza rapidamente in risposta alla avvenuta cattura della preda. I tentacoli di Drosera burmannii sono capaci di curvarsi di 180º in quasi solo un minuto. Le Drosera sono estremamente cosmopolite e sono state rinvenute in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartide. La loro maggiore diversità si ha in Australia, la patria del grande sottogruppo delle drosere pigmee, come Drosera pygmaea, e di specie tuberose come Drosera peltata, che forma dei tuberi per sopravvivere ai caldi e secchi mesi estivi. Queste specie sono molto dipendenti dalla fonte di azoto rappresentata dagli insetti e generalmente sono prive di quegli enzimi, come la nitrato reduttasi, richiesti dalle piante per trasformare l’azoto del suolo in una forma organica assimilabile.

Drosophyllum lusitanicum
Drosophyllum lusitanicum

Affine a Drosera è il genere Drosophyllum, che differisce per la modalità passiva di cattura: le foglie sono incapaci di rapidi movimenti o di crescere in risposta all’intrappolamento. Simili per comportamento, ma non imparentate con Drosophyllum, sono le piante del genere Byblis. Drosophyllum può essere considerata un’eccezione tra le piante carnivore in quanto cresce in condizioni quasi desertiche, mentre tutte le altre sono tipiche delle paludi o delle aree tropicali.
Dati molecolari basati in particolare sulla produzione di plumbagina, indicano che laTriphyophyllum peltatum, un’altra carnivora con trappola adesiva della famiglia Dioncophyllaceae, è strettamente affine a Drosophyllum, con cui forma parte di un ampio clade di piante carnivore e non, cui appartengono Droseraceae, Nepenthaceae, Ancistrocladaceae e Plumbaginaceae. Questa pianta è considerata usualmente una liana, ma nella sua fase giovanile ha abitudini carnivore dovute, si pensa, ad una specifica richiesta di nutrienti essenziali per la sua fioritura.

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Trappola a scatto

È probabilmente il meccanismo più spettacolare, poiché è uno dei rari casi in cui un vegetale è in grado di compiere dei movimenti talmente rapidi da farlo sembrare più simile ad un animale. La caratteristica forma delle foglie (simili ad una bocca irta di denti acuminati) contribuisce poi a rendere l’effetto ancora più appariscente. Esistono due tipologie di trappole a scatto, presenti ciascuna in un’unica specie: la venus acchiappamosche (Dionaea muscipula) e l’aldrovanda (Aldrovanda vesiculosa).

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Aldrovanda vesiculosa

L’Aldrovanda è una pianta acquatica specializzata nella cattura di piccoli invertebrati; Dionaea è invece terrestre e caccia soprattutto mosche ed altri insetti volanti. Le trappole sono molto simili: presentano delle foglie la cui regione terminale è divisa in due lobi, incernierati lungo la nervatura centrale. Al loro interno si trovano dei peli innescanti sensibili al tatto (tre su ogni lobo nel caso della Dionaea; molti di più nel caso dell’Aldrovanda). Quando i peli vengono piegati provocano l’apertura dei canali ionici nelle membrane delle cellule alla loro base, generando un potenziale d’azione che si propaga alle cellule della nervatura mediana. Queste cellule rispondono pompando nell’ambiente extra-cellulare ioni potassio. Questo può causare perdita di acqua, che fuoriesce per osmosi, provocando il collasso delle cellule della nervatura, o può portare ad una rapida crescita acida. La questione su quale sia il meccanismo d’azione è ancora molto dibattuta, ma in ogni caso il risultato è che i lobi, che sono mantenuti sotto pressione, si chiudono a scatto. Questo processo dura circa un secondo (molto meno se la pianta è in buone condizioni)
Nella venus acchiappamosche, le chiusure futili (in risposta a gocce di pioggia od alla caduta di detriti) sono prevenute da una semplice memoria posseduta dalle foglie: per chiudersi sono infatti richiesti due stimoli distanti tra 0.5 e i 30 secondi. È inoltre necessario che la stimolazione continui anche dopo la chiusura della foglia perché la digestione abbia inizio, in caso contrario la foglia si riapre dopo poche ore (una giornata circa). Stress continui delle trappole portano al deperimento della pianta, ne è quindi sconsigliata la stimolazione.
Lo scatto delle foglie è un tipico caso di tigmonastia, un movimento indiretto provocato dalla variazione di turgore delle cellule in risposta ad uno stimolo tattile. L’ulteriore stimolazione delle superfici interne dei lobi, generate dal dibattersi dell’insetto, induce questi a chiudersi sempre più per avvolgere la preda (tigmotropismo). Saldandosi ermeticamente, i lobi formano una sorta di stomaco nel quale avviene la digestione, che dura da una a due settimane. Le foglie possono essere riutilizzate tre o quattro volte prima di diventare insensibili alla stimolazione e morire.

Trappola ad aspirazione

utricularia-inflata-st-brice2Le trappole ad aspirazione sono esclusive del genere Utricularia. Queste piante posseggono delle vescicole spesso sotterranee, a forma di sacco e chiamate utricoli, che pompando ioni verso l’esterno, provocano una fuoriuscita d’acqua per osmosi e la conseguente creazione di un vuoto parziale al loro interno. L’utricolo possiede una piccola apertura sigillata ermeticamente da una porta. Nelle specie acquatiche, la porta è dotata di un paio di lunghi peli innescanti. Gli invertebrati acquatici (come le pulci d’acqua, Daphnia sp.) che toccano questi peli provocano l’apertura della porta verso l’interno. Il rilascio del vuoto genera un risucchio che aspira l’acqua e la preda all’interno della vescicola, dove poi avviene la digestione. Le dimensioni degli utricoli variano da 1 a 4 mm.
Molte specie di Utricularia – come l’U. sandersonii – sono terrestri e si accrescono sui suoli fradici; i loro meccanismi di intrappolamento vengono attivati in maniera leggermente diversa. Le utricularie sono prive di radici, sebbene le specie terrestri posseggano steli d’ancoraggio che le ricordano. Le specie viventi nelle acque temperate producono delle gemme che, durante i freddi mesi invernali, si staccano dalla pianta con la sua morte e rimangono in quiescenza fino all’arrivo della primavera. L‘U. macrorhiza crescendo regola il numero di vescicole in base al tipo di nutriente predominante nel suo habitat.

Trappola a nassa

Genlisea violacea
Genlisea violacea

Le trappole a nassa sono tipiche delle Genlisea, le piante cavaturaccioli. In queste piante, che appaiono specializzate nella cattura diprotozoi acquatici, una foglia modificata a forma di “Y” consente l’entrata alla preda, ma non l’uscita.
Ciò avviene grazie alla presenza di peli diretti verso l’interno che forzano la preda a muoversi in una particolare direzione. Entrando nell’apertura a spirale che serpeggia attorno alle due braccia superiori della Y, le prede sono costrette a raggiungere inesorabilmente lo “stomaco”, l’apparato digestivo posto nel braccio inferiore della Y. Si pensa che il movimento della preda sia favorito anche dall’acqua che scorre attraverso la trappola, producendo un risucchio simile a quello generato dalle vescicole delle Utricolarie. Probabilmente questi due tipi di trappole sono relazionati dal punto di vista evolutivo.
Strutture simili a questo tipo di trappola sono riscontrabili in Sarracenia psittacina e Darlingtonia californica.

Piante semi-carnivore

Per essere considerata una carnivora completa, una pianta deve essere in grado di attirare, uccidere e digerire le prede, traendo beneficio dall’assorbimento dei prodotti della digestione (in particolare amminoacidi e azoto). Esistono, quindi, diversi gradi di carnivorosità: da piante non-carnivore, a semi-carnivore, fino ad arrivare alle carnivore vere e proprie, tra cui sono comprese sia quelle con trappole semplici e non specializzate, come in Heliamphora, sia quelle con meccanismi complessi ed evoluti, riscontrabili ad esempio nella venus acchiappamosche.

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Piante semi-carnivore di particolare interesse sono le Roridula e Catopsis berteroniana; quest’ultima è una bromeliacea come la Brocchinia, ma mentre questa è in grado di produrre la fosfatasi, la C. bertoroniana non è capace di sintetizzare nessun tipo di enzima digestivo (le prede scivolano dentro le urne possedute da queste piante e vengono digerite dai batteri presenti al loro interno).
Le Roridula mostrano un’intricata relazione con le loro prede. Analogamente alle Drosera, le piante di questo genere presentano delle foglie adesive con ghiandole secernenti mucillagine, ma non beneficiano direttamente dell’insetto catturato. Infatti, grazie ad una simbiosi mutualistica con i reduvi assassini (Pameridea), che si nutrono degli insetti intrappolati, la pianta assorbe i nutrienti derivati dai loroescrementi.

Catopsis berteroniana;
Catopsis berteroniana

Alcune specie di Martyniaceae (già Pedaliaceae), come l’Ibicella lutea, possiedono foglie adesive che intrappolano insetti ma non è stato dimostrato che esse siano carnivore. Similmente, i semi della “borsa del pastore” (Capsella bursa-pastoris), le urne della Paepalanthus bromelioides, le brattee della Passiflora foetida e gli steli delle infiorescenze ed i sepali di Stylidium spp. appaiono catturare ed uccidere le prede, ma la loro classificazione come carnivore è tuttora in discussione.
La produzione di specifici enzimi digestivi (proteasi, fosfatasi, ribonucleasi, ecc.) viene usata certe volte come criterio diagnostico per la carnivorosità. Tuttavia, questo metodo escluderebbe alcuni generi come Byblis, Heliamphora e Darlingtonia, generalmente accettati come carnivori, ma che in realtà presentano una simbiosi con dei batteri muniti di enzimi utili per la digestione delle prede. Il dibattito sulla definizione basata sull’attività enzimatica apre una questione riguardante la Roridula: non vi sono chiare ragioni per cui una pianta con batteri simbionti che, in seguito alla cattura, trae beneficio da essi possa essere considerata carnivora, mentre il possesso di insetti simbionti escluda questa possibilità.

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RIPRODUZIONE
Come tutte le piante, anche le carnivore possono riprodursi sia sessualmente sia asessualmente.
La riproduzione asessuata avviene mediante la produzione di gemme o tramite la divisione dei rizomi.
La riproduzione sessuata avviene mediante la formazione di fiori, che una volta fecondati origineranno i semi. Alcune specie sono ermafrodite, essendo presenti nel loro fiore sia stami sia pistilli, mentre altre sono dioiche, quindi esistono piante maschili e piante femminili. In alcune specie, come in D. capensis, è possibile l’autofecondazione, ma nella maggior parte delle piante essa è impedita da meccanismi diversi.
Poiché nella maggior parte delle piante carnivore l’impollinazione è affidata agli insetti, esse hanno dovuto sviluppare dei sistemi che impedissero l’uccisione degli impollinatori. Nelle sarracenie il fiore si sviluppa prima che vengano prodotti i nuovi ascidi dopo il riposo invernale, mentre in Dionaea il fiore si trova all’apice di un lungo stelo che lo allontana dalle trappole, la cui produzione viene interrotta durante la fioritura. Altre piante producono dei fiori i cui colori o il cui profumo attirano degli insetti di dimensioni tali da non poter essere catturati.

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COLTIVAZIONE
Sebbene le diverse specie di piante carnivore abbiano differenti richieste in termini di esposizione, umidità, terreno etc., esse condividono alcune caratteristiche comuni.
La maggior parte delle carnivore richiede acqua piovana, o acqua distillata o deionizzata per osmosi inversa.
Le acque comuni posseggono infatti minerali (in particolare sali di calcio) che possono rapidamente uccidere la pianta. Ciò è dovuto al fatto che la maggior parte delle specie carnivore si è evoluta in suoli acidi e poveri di nutrienti e di conseguenza si tratta di piante estremamente calcifughe e molto sensibili ad un eccesso di nutrienti nel terreno. Dal momento che la maggior parte di queste piante vive nei pantani, quasi tutte sono molto intolleranti ai suoli asciutti. Eccezioni sono costituite dalle drosere tuberose che richiedono un periodo di riposo estivo secco, e dal Drosophyllum che richiede condizioni più secche della maggior parte delle altre carnivore.
Le piante carnivore coltivate in esterno generalmente catturano insetti più che a sufficienza per far fronte alle proprie necessità di nutrienti. Una pianta carnivora che non cattura insetti morirà raramente, ma la sua crescita sarà ridotta. In caso di carenza si possono somministrare manualmente insetti per integrare la dieta della pianta; la somministrazione di altro tipo di nutrienti, come per esempio pezzi di carne, può portare alla morte della trappola e dell’intera pianta.

carnivore00Molte piante carnivore richiedono un ambiente soleggiato, che renderà il loro aspetto migliore poiché le incoraggia a sintetizzare pigmenti antocianini rossi e violacei. Molte specie, ad eccezione delle specie di Nepenthes e Pinguicula, amano la luce solare diretta purché non sia troppo intensa, tipica delle giornate estive più calde.
La maggior parte delle carnivore vive nelle paludi e alcune in habitat tropicali e quindi necessitano di una elevata umidità. Su piccola scala, questa condizione può essere ottenuta posizionando la pianta in un ampio sottovaso riempito di acqua o semplicemente vaporizzando la pianta giornalmente. Le piccole specie di Nepenthes crescono bene in larghi terrari.
Le Nepenthes sp., essendo tropicali, richiedono una temperatura dai 20 ai 30 °C per sopravvivere.
Le carnivore necessitano di un appropriato suolo povero di nutrienti. Molte di esse apprezzano una mistura di torba acida di Sphagnum e sabbia orticola o perlite in rapporto 3:1. La fibra coir, ricavata dalle noci di cocco, è un accettabile sostituto della torba, essendo inoltre più ecologica non sfruttando le torbiere naturali. Le Nepenthes cresceranno meglio in un compost per orchidee costituito da bark sminuzzato (40%), substrato di Sphagnum (30%) e perlite (30%).
Ironicamente, le piante carnivore sono esse stesse suscettibili alle infestazioni da parte di insetti parassiti, quali gli afidi o le cocciniglie. Anche se le piccole infestazioni possono essere rimosse direttamente con le mani, le più grandi richiedono l’intervento di insetticidi. L’alcol isopropilico è un efficiente insetticida topico; il diazinone, invece, è un eccellente insetticida non sistemico che viene ben tollerato da molte carnivore, così come il malathion, l’acephate e l’imidacloprid.
Sebbene gli insetti possano causare dei problemi, il pericolo maggiore per la coltivazione delle carnivore è rappresentato dalla botrite, o muffa grigia, una malattia causata dalfungo parassita Botrytis cinerea. Questi prospera in condizioni caldo-umide e può essere un problema durante l’autunno. In una certa misura, le piante carnivore temperate si possono proteggere da questo patogeno, ponendole in un ambiente fresco e ben ventilato in autunno e rimuovendo prontamente ogni foglia morta. Se questi accorgimenti risultassero inutili, si può intervenire con l’uso di un fungicida rameico. Altra malattia fungina molto comune tra le piante carnivore è l’oidio. Questa patologia colpisce soprattutto ilCephalotus follicularis e può essere curata irrorando la pianta con un anticrittogamico a base di zolfo.

foto Yu Rio

Terrari e paludari con piante carnivore

 Fra le specie più comuni ricordiamo:

NEPENTHES

Nepenthes alata
Nepenthes alata

Le piante appartenenti al genere Nepenthes sono tutte piante carnivore appartenenti alla famiglia delle Nepentaceae, originarie delle zone tropicali ma che, a seconda della specie, possono crescere in diversi luoghi: alcune di queste piante, infatti si sviluppano vicino al mare o con temperature miti, mentre altre preferiscono le zone di montagna e non temono le escursioni termiche. Generalmente, nei vivai si trovano ibridi derivati dalle cosiddette Nepenthes di pianura, abituate ai climi tropicali caldi e umidi.
Le Nepenthes si sviluppano come delle lunghe liane tra gli alberi e, quindi, hanno fusti sottili, foglie spesse e cuoiose, dotate di viticci che permettono loro di attaccarsi tra i fusti e le foglie degli altri alberi. Le trappole sono le foglie che diventano delle specie di bottiglie coperte da un labbro superiore che impedisce all’acqua piovana di entrare all’interno; queste trappole sono grandi, di colore verde con maculature brune e riempite per metà da un liquido viscoso che, tra l’altro, si trova anche nella parte superiore.
In natura le Nepenthes possono raggiungere lunghezze fino a 10 metri e trappole che possono contenere fino a due litri di fluido, mentre in vivaio vengono coltivate ibridi o specie dalle dimensioni più piccole con trappole che raggiungono massimo i dieci centimetri. Le Nepenthes, che sono piante dioiche, producono delle infiorescenze a pannocchie costituite da fiori bianchi o color crema che profumano di muschio.
Molto importante è anche fornire loro il terreno giusto: essendo in natura piante epifitee con un apparato radicale piccolo e che si affonda all’incrocio dei rami degli alberi o nelle foglie del sottobosco, le Nepenthes vanno coltivate in un contenitore piccolo riempito di torba, pezzetti di corteccia e un po’ di pietra pomice.

Nepenthes Spathulata x Ramispina

DROSERA

Drosera burmannii “green form”
Drosera hybrid (probably Spatulata x aliciae)
Drosera burmannii Hann river.Kimberly,AU
Drosera capensis